Pg Nats, squadra che vince… lascia: il caso Atleta e i precedenti

Pg Nats, squadra che vince… lascia: il caso Atleta e i precedenti
© foto di PG Esports
mercoledì 11 gennaio 2023, 12:40Editoriale
di Francesco Lombardo
Il più recente caso che ha riguardato gli Atleta Esport è solo l’ultimo di una lunga serie che ha visto il vincitore del campionato lasciare poco dopo.

C’è chi lascia in grande stile e chi abbandona all’improvviso. L’ultimo eclatante caso che ha riguardato il PG Nationals di League of Legends, il campionato italiano del moba targato Riot Games, ha avuto come protagonista gli Atleta Esport: l’organizzazione con base a Roma si è improvvisamente trovata nei primi giorni di gennaio senza i fondi per realizzare lo Spring Split a causa delle difficoltà economiche registrate dalla società sportiva che gestisce la divisione competitiva esports. Risultato: addio al PG Nationals e probabile ripescaggio dei Dren, almeno secondo le ultime indiscrezioni.

Ciò che colpisce però è la curiosa casistica per cui cinque dei sette vincitori del PG Nationals abbiano abbandonato la competizione poco dopo. Gli Atleta infatti hanno vinto il torneo laureandosi campioni italiani nello Spring 2022, all’esordio, per abbandonare nemmeno un anno dopo, aspettando ancora l’ufficialità. Non è però il primo caso: allo stato attuale infatti solo due team che hanno vinto il torneo competono tuttora: Outplayed, vincitori nel Summer 2018 (e più volte finalisti), e i Macko, unica org a vincere tre volte con il trionfo nello Spring e Summer 2021 e nuovamente nel Summer 2022 (disputando anche la finale dello Spring 2022).

Facendo un passo indietro nel tempo, il primo vincitore assoluto del PG Nationals è stato il Team Forge, nello Spring 2018, che salutò però la competizione appena un anno dopo, acquisita dal Team Qlash. Qlash che avrebbero invece poi definitivamente abbandonato a metà 2020 al termine di una parabola discendente. Discorso simile anche per i Campus Party Sparks: due volte vincitori, dominatori assoluti nel 2019 in entrambi gli split, negli anni successivi hanno investito sempre meno risorse, decidendo a fine 2020 di cedere lo slot agli Axolotl.

Ancora più clamorosa, e rapida, l’entrata e l’uscita degli YDN. A fine 2019 si qualificano per il PG Nationals tramite il promotion, vincono il torneo e lo split immediatamente dopo, il Summer 2020, presentano un roster poco competitivo, finendo in relegation che perderanno poi qualche settimana dopo, salutando definitivamente il torneo. Infine abbiamo i Samsung Morning Stars, anche se il loro è un percorso del tutto diverso: due volte finalisti, vincitori nel Summer 2020, gli SMS hanno cambiato modalità di progetto, puntando a creare più content che risultati sul campo. Fino ad arrivare al passaggio oneroso di slot ai Webidoo Gaming, subentrati in questo 2023.

L’aspetto più preoccupante, escludendo il caso degli SMS in cui sono “semplicemente” cambiate le strategie ma provando comunque a rimanere competitivi, negli altri casi sembra che chi vince non riesca a trasformare il risultato competitivo ottenuto e la relativa attenzione mediatica in un ritorno economico. Monetizzare gli esports in questo momento storico è davvero complesso, aggravato da chi magari spende troppo, a volte più del dovuto, e male, provando ad arraffare quello che può nel poco tempo che gli viene concesso.

Un discorso simile, anche se sotto alcuni aspetti peggiore, è quello vissuto con i Gaia Esports e gli Esport Empire: società “rapaci” che avrebbero verosimilmente provato a conquistarsi la propria fetta di mercato esports con investimenti significativi ma senza avere alle spalle una sostenibilità importante. Se il caso degli Esport Empire appare più fisiologico al sistema esports globale (e quindi non solo italiano), quello Gaia sembra invece la storia di una figura che pensa di poter monetizzare la propria creatura in pochissimi mesi per poi abbandonare la scena. In questo caso lo avrebbe fatto addirittura senza pagare giocatori e coaching staff, secondo quanto numerose fonti hanno riportato.

Il punto della discussione è però uno, comune a molte di queste esperienze raccontate: la mancanza di programmazione. Quasi nessuna di queste realtà aveva un vero progetto a lungo termine, un piano per monetizzare nel tempo la propria divisione competitiva alla base della stabilità di un team. Perché la realtà, che molti team forse non comprendono o non vogliono comprendere, è che vincere non serve a nulla, non porta a nulla se non si hanno le capacità per trasformare le vittorie in un contenuto da vendere. Soprattutto in un mercato italiano in cui gli sponsor, a livello globale motore dell’esports, non possono o non vogliono investire nei team: probabilmente proprio perché non ne riconoscono il valore. 

Fino ad allora meglio pensare più sul lungo periodo con le risorse che si hanno. Per usare una massima, meglio forse cento giorni da pecora che uno da leone?