Esports: fin dove è lecito spingersi per lo spettacolo?

Esports: fin dove è lecito spingersi per lo spettacolo?
sabato 24 luglio 2021, 08:42Editoriale
di Francesco Lombardo
I CLG hanno messo sotto i riflettori i propri giocatori, i Dignitas hanno stretto un accordo con l'aviazione USA: ormai vale tutto.

Che una delle principali qualità degli statunitensi sia la spettacolarizzazione degli eventi non è certo una novità. Negli anni ci hanno abituato a rendere televisivo ogni tipo di spettacolo o di evento, costruendo una narrativa epica intorno, ad esempio, a catapecchie abbandonate come a monumentali grattacieli nuovi di zecca, memoriali di guerra, monumenti che nel migliore dei casi hanno appena 200, a volte 250, anni di storia. Eppure l'idea di trasformare ogni potenziale attrazione in una sorta di parco divertimenti pronto a soddisfare le esigenze del pubblico, anche le più strambe, sembra aver funzionato: infatti gli Stati Uniti, o tutto il Nord America in generale, hanno basato la propria offerta turistica proprio su questo aspetto.

E secondo le ultime notizie anche gli esports non sembrano essere esenti da tale caratteristica. Sia League of Legends che Overwatch sono stati i primi titoli competitivi al mondo ad adottare il modello franchising e lo hanno fatto in Nord America: il primo con la nascita dell'LCS, il massimo campionato continentale, il secondo con la Overwatch League, competizione mondiale ma che nasce dall'esigenza di soddisfare per primo le domande del pubblico nordamericano. 

Pubblico che chiaramente arriva da una tradizione ormai consolidata, più indirizzata a uno status quo statico, perdonando il gioco di parole, in cui il denaro ma soprattutto la stabilità della scena sono considerati superiori ai meriti competitivi. Tradizione sportiva che arriva dall'NBA e dallo sport tradizionale made in USA: niente promozioni e retrocessioni, leghe chiuse di cui le stesse squadre sono sostanzialmente soci e ne condividono i guadagni. L'unica richiesta d'ingresso è avere solidità economica nel breve e nel lungo periodo, il che si traduce nella necessità di avere sponsor che possano sostenere le attività delle squadre e delle organizzazioni. Ma quanto in là sono disposti ad andare in Nord America pur di spettacolarizzare e pubblicizzare per ottenere visibilità e, di conseguenza, sponsor? A quanto pare molto in là. 

Prendiamo l'esempio dei CLG, acronimo di Counter Logic Gaming, una delle organizzazioni storiche della scena internazionale e in particolare di quella nordamericana. Durante la stagione hanno pubblicato un video del "dietro le quinte" del loro team di League of Legends, una tipologia di contenuto che molte organizzazioni utilizzano spesso. Sembrerebbe qualcosa di innocente se non fosse che le riprese riguardavano un momento particolare del team in cui il team manager annuncia che ci potrebbero essere cambiamenti molto presto, vista la mancanza di risultati positivi nel campionato. Si tratta in pratica della spettacolarizzazione del dolore, più mentale che fisico ovviamente, di ragazzi che vengono messi pubblicamente alla gogna per i loro fallimenti e che ricevono la notizia che potrebbero essere messi in panchina o, nel caso peggiore, visto interrotto il loro contratto. Non aiuta, poi, che il video sia uscito come contenuto brandizzato Budlight, sponsor LCS e del team. Il video ha comunque avuto vita breve: è stato prontamente rimosso dai social dopo la reazioni avverse (giustificate) dell'intera community che ha condannato un contenuto di questo tipo. L'organizzazione ha provato a difendersi, chiedendo scusa ai giocatori per aver urtato la loro sensibilità, e adducendo come giustificazione la voglia di essere trasparenti. Ma è questa la vera trasparenza che uno spettatore chiede in una sorta di Grande Fratello costante?

Un altro esempio recente riguarda invece i Dignitas,altra storica organizzazione nordamericana. Senza clamore, senza pubblicazione sui canali social, in punta di piedi, insomma, i Dignitas hanno raggiunto un accordo con la US Air Force, l’aviazione militare statunitense con cui, si legge sul sito dell’org, verranno avviate diverse attività di collaborazione mirate al coinvolgimento dei tifosi e degli appassionati di esports in generale come frutto dell’accordo di sponsorizzazione monetaria che andrà a rimpinguare le casse della società. Il mancato annuncio in pompa magna è da attribuire alle aspettative che i Dignitas avevano nei confronti della comunità di videogiocatori che quasi sicuramente avrebbero mal digerito una tale sponsorizzazione: e così è stato. Perché quando la notizia, presente sul sito ufficiale dell’organizzazione ma mai condivisa sui social, è stata messa in pubblica piazza da alcuni attenti aficionados si è, come previsto, creato un ampio fronte di dissenso che non vorrebbe che l’esercito, in qualsiasi sua forma, entri nell’esports portando i suoi soldi ritenuti “sporchi”.

In Europa sembriamo essere più attenti sui limiti da autoimporsi. Nel 2020 l’LEC, la lega europea di League of Legends, aveva annunciato l’accordo con Neom, realtà dell’Arabia Saudita posseduta dal Fondo Sovrano della famiglia reale, salvo poi ritornare sui suoi passi nemmeno dodici ore dopo, costretta dalla rivolta della community e dal minacciato sciopero dei suoi caster. Il motivo? Conflitto di ideali: l’LEC afferma continuamente di sostenere l’inclusività e la difesa dei diritti LGBTQ+ ma poi stringe accordi con aziende di un paese in cui l’omosessualità è punibile con la pena capitale. Di certo non un sinonimo di coerenza.