Come guadagna un team esports? La parola d’ordine è diversificare

Come guadagna un team esports? La parola d’ordine è diversificare
venerdì 11 giugno 2021, 11:21Editoriale
di Francesco Lombardo
fonte https://esportsinsider.com/2021/06/esports-revenue-streams-teams/
Come fanno i team e le organizzazioni esports a trovare la sostenibilità economica e rendere l’investimento redditizio? Diversificando.

Sport e esports non sono differenti solo sotto il profilo di struttura e modalità di competizione ma anche, e soprattutto, in termini di modelli economici. Chi ha cercato di approcciarsi al gaming competitivo seguendo lo stesso identico modello dello sport si è presto reso conto che non era sostenibile economicamente e che era necessario modificare i propri parametri per continuare a operare nell’industria degli esports e rendere il proprio business non solo sostenibile ma redditizio.

La prima differenza risiede nel contributo delle sponsorizzazioni. Nella Premier League, il campionato di calcio più seguito al mondo, per la stagione 2020/2021 gli accordi di sponsorship hanno inciso per il 25% dei ricavi totali, mentre la fetta più grossa, circa il 69%, arriva dalla vendita dei diritti TV alle varie emittenti. Gli Astralis, una delle più conosciute organizzazioni esports, hanno registrato importi quasi opposti nel 2020: il 66% dei ricavi è infatti maturato proprio dagli accordi di sponsorizzazione. 

Ora, è chiaro che stiamo parlando di due realtà differenti: da un lato un campionato, dall’altro una squadra che partecipa a diversi campionati. Ma il concetto rimane identico: per una squadra sportiva la fetta più importante dei propri ricavi arriva da merchandising e divisione dei diritti TV. Negli esports, sia che parliamo di una squadra sia che parliamo di una competizione, l’entrata principale arriva sempre dalle sponsorizzazioni. I TSM, organizzazione internazionale, hanno siglato in settimana un accordo per i diritti di sfruttamento sul proprio nome con la FTX: in poche parole l’organizzazione cambia ufficialmente nome, diventando TSM FTX, in cambio riceverà 210 milioni di dollari nell’arco di dieci anni, sancendo il più imponente accordo di sponsorizzazione mai siglato nel mondo dell’esports.

Il punto è anche semplice da analizzare. Gli esports sono un fattore di intrattenimento per le generazioni più giovani, indubbiamente nativi digitali o quasi ma di certo non tra le fasce più ricche della popolazione. Proporre pertanto un contenuto a pagamento come avviene per lo sport tradizionale non sarebbe remunerativo perché il target a cui si rivolge il gaming non potrebbe sostenerne il costo. Meglio allora fornire contenuti gratuiti operando su altri aspetti per monetizzare il proprio business. In particolare Max Schönknecht su The Esports Insider ha individuato tre aspetti che attualmente rappresentano le principali entrate di un team esports: sponsorizzazioni, montepremi e revenue share dei campionati. Tuttavia le ultime due sono spesso utilizzate per pagare i giocatori o per dare loro bonus in merito ai risultati ottenuti e di certo non figurano come qualcosa di nuovo. Un quarto aspetto che si sta rafforzando sempre più, ma ricopre ancora un ruolo acerbo, sono i ricavi derivanti dalla vendita dei diritti TV: la Overwatch League è andata in esclusiva su Youtube per tre anni a 160 milioni di dollari, cifra che in parte va poi divisa direttamente con le squadre. Ma rimane comunque insufficiente.

Da dove partire, allora? 

Attività secondarie. Gli Immortals Gaming sono un gruppo societario che contiene al suo interno diverse realtà esports come gli Immortals, che competono ad esempio nell’LCS di League of Legends, così come i MIBR, presenti sia su CS:GO che su Rainbow Six Siege. Recentemente la IGC - Immortals Gaming Club ha acquisito anche la piattaforma Gamers Club, utilizzata dalla community dell’America Latina per trovare avversari, compagni di squadra con cui competere e allenarsi su Counter-Strike. Qualcosa di simile hanno fatto i TSM, la cui società proprietaria, la Swift Media Entertainment, ha acquisito Blitz, piattaforma di statistiche, analisi e consigli su alcuni giochi esports. Esattamente come avevano già fatto i T1 nel 2020 investendo su Mobalytics, portale simile.

Piattaforme digitali per la propria community. Non è possibile essere un brand negli esports senza tifosi o persone che sostengono la causa comune. Tuttavia gli appassionati di esports vanno coccolati e messi nelle condizioni di ricevere qualcosa in cambio. I Cloud9 hanno fatto partire il progetto “Stratus”, una sorta di piano premium da 500 dollari l’anno che permette di avere in esclusiva contenuti digitali e fisici. In via di definizione invece “Liquid+”, piattaforma del Team Liquid dedicata all’intera community di videogiocatori: le varie interazioni social con i post dell’organizzazione permettono di accumulare punti che possono essere spesi proprio dagli utenti della piattaforma Liquid+.

Negozi fisici. Chiaramente in tempo di pandemia è difficile puntare sui negozi fisici visto il successo di quelli digitali ma la verità è che i primi rimangono uno dei mezzi più importanti e più di successo in cui vendere il proprio merchandise. Gli Astralis ne hanno aperto uno a inizio 2021 a Copenhagen, sede dell’organizzazione, che può ospitare più di 130 clienti contemporaneamente. 100 Thieves, Vitality e Complexity hanno invece un negozio dedicato all’interno del proprio quartier generale. In questi casi il vantaggio non è tanto il ricavo che si può ottenere quanto incrementare il cosiddetto brand awareness dell’organizzazione, anche agli occhi di chi passa davanti al negozio e non è un conoscitore degli esports. Ma potrebbe diventarlo.

Le guide. Un’attività classica a altamente redditizia sono le guide. Creare dei contenuti, scritti o video, in cui spiegare e raccontare agli utenti come migliorare e come allenarsi per scalare le classifiche è forse il segreto di pulcinella del rendere un’attività redditizia. L’ex giocatore professionista di CS:GO Jordan “n0thing” Gilbert, ad esempio, ha creato una guida da tre ore e mezza sulla piattaforma Udemy che è stata venduta 12.000 volte. Le guide hanno potenzialità enormi, se fatte bene, che spingono portali come GamerzClass o ProGuides a investire sull’ingaggiare i migliori talenti e giocatori così da vendere le loro video-lezioni.

Periferiche da gaming brandizzate. È questo forse uno dei più importanti mercati in espansione all’interno del settore gaming. Razer, Corsair, Turtle Beach sono tra le più importanti aziende che stanno sperimentando tale boom, così come HyperX recentemente acquisita da HP per 425 milioni di dollari. Perché allora non creare una linea di periferiche direttamente realizzate dai team esports? Ci stanno provando ad esempio i Fnatic con Fnatic Gear, linea di proprietà di Sannpa Ltd, società che detiene gli stessi Fnatic. In questo caso il problema è ovviamente uno: è necessario avere le competenze per realizzare dei prodotti di prima qualità unendo la riconoscibilità del brand esports con le prestazioni di mouse, tastiere, cuffie o qualsiasi altra periferica.

Concludendo, ci sono indubbiamente numerosi modi per un team esports di monetizzare la propria presenza nel settore. Ogni scelta va però commisurata in merito al target principale di riferimento, al mercato (nazionale o globale) in cui si opera e alle condizioni del settore in quel preciso momento storico. Tante variabili che fanno, tuttavia, comprendere quanto il mondo degli esports sia decisamente più complicato di quanto è possibile immaginare.